Cultura locale

PRAMOLLO... UN PO' DI FANTASIA E UN PO' DI REALTÀ

"Pramoulin d' Pramol
Rava e chôl
Pan pâ gaire
Vin pâ gî
Grasio dë Diou
La boun' aigo d’eisì
"

"Pramollini di Pramollo
rape e cavoli 
pane poco 
vino niente
è una grazia di Dio
questa buona acqua
"

È un vecchio detto che ci ricorda quelli che furono gli ingredienti principali dei pasti dei nostri bisnonni: essi sono anche gli elementi simbolo di un"'economia" povera, basata sulla coltivazione di ortaggi, ma anche di cereali (grano, segale, avena, orzo, grano saraceno: lou granét, oggi completamente abbandonati: a testimoniare le coltivazioni di grano rimangono i forni, presenti in tutte le borgate ed ormai in rovina; un tempo il pane veniva fatto a turno dalle varie famiglie all'incirca una volta ogni quindi giorni.

Anche se il detto sostiene che il vino non ci fosse, nella parte bassa del comune di Pramollo gli anziani ricordano una zona coltivata a vigneto. L'acqua invece è sempre stata ed è oggi ancora abbondante, d'altronde Pramollo richiama il nome latino "Pratum molle", le sorgenti sono molte, i corsi d'acqua pure. Nel passato essi hanno alimentato i mulini del fondovalle, hanno abbeverato greggi di pecore, mandrie di mucche con il cui latte si preparava, e per fortuna si prepara ancora oggi, una ricotta aromatizzata con delle erbe, il seiras. La rapa è un altro elemento che caratterizza Pramollo, esiste infatti una leggenda che "spiega" perché i pramollini vengono scherzosamente chiamati rape e i loro vicini di casa, i sangermanesi vengono chiamati rospi.

"Una volta a Peumian, una borgata di Pramollo, piantarono una rapa che divenne così grossa da doverla sterrare facendo scoppiare una mina. Il pezzo più piccolo andò a finire al Vir 'd Gouch (la curva di Malanaggio) e fermò l'acqua del torrente Chisone che straripò ed allagò tutto il paese di S. Germano,formando un lago.

Da allora S. Germano diventò "la babiera", cioè l'ambiente in cui vivo no bene i rospi, i sangermanesi di conseguenza vennero chiamati "babi".

Gli abitanti di Pramollo invece furono soprannominati "rava" perché il loro territorio era tutto cosparso di pezzi di rapa, in seguito alla scoppio di quella di Peumian..."

Oggi l'economia di Pramollo non è più basata sull'agricoltura, le persone lavorano nella bassa valle in vari settori e i cavoli e le rape che si vedono negli orti non sono più la base dei pasti quotidiani...

Il comune ha dovuto fare i conti con lo spopolamento ed oggi la popolazione è costituita prevalentemente da persone anziane, tuttavia negli ultimi anni si sono insediati alcuni nuclei familiari giovani e questo è un segno di apertura e di speranza per il futuro.

Marilena Long
La Valaddo, n. 2 - giugno 2001


 

Lingua
Anche per quanto riguarda la lingua, l'area delle valli pinerolesi presenta una realtà ricca e variegata poiché è caratterizzata da differenti parlate, che si intersecano o si localizzano in ambiti particolari, espressione questa di una specificità culturale che è molto vicina a quella transalpina. Tale tipicità, determinata dall'evoluzione delle vicende storiche e dalla loro stratificazione nel tessuto sociale, si manifesta con la presenza di quattro codici linguistici.


 

L'Occitano
L'occitano alpino, una variante della lingua d'Oc parlata nella Francia meridionale che affonda le radici nella lingua trobadorica del XVI sec. era un tempo la comune matrice linguistica di tutta la popolazione delle valli.
Durante il Medioevo era conosciuto in buona parte dell'Europa, poi progressivamente diventò un 'dialetto' orale e di conseguenza soggetto a numerose varianti locali. Attualmente l'area italiana di diffusione della lingua interessa una corona di valli comprese tra la pianura piemontese e le Alpi Cozie e Marittime. Dobbiamo però arrivare alla fine degli anni '50 per assistere allo sviluppo di studi sulle peculiarità etno-linguistiche, e vedere la nascita dei primi movimenti che si propongono di sviluppare l'interesse per l'Occitania italiana.
Dagli anni '70 sono sorti alcuni gruppi e associazioni particolarmente attenti alla salvaguardia delle espressioni linguistiche locali; sono nati alcuni periodici specializzati (tra cui La Valaddo della Val Chisone) che pubblicano testi in occitano, e hanno anche fatto la loro comparsa alcune importanti pubblicazioni sul tema, tra cui l'Atlante linguistico ed Etnografico del Piemonte occidentale e il prezioso 'Dizionario del dialetto occitano' curato dal Prof. Arturo Genre, una riproposta approfondita del testo precedente scritto da Teofilo Pons. Esiste inoltre un Centro di Documentazione sulla cultura locale localizzato presso al Comunità Montana Valli Chisone e Germanasca, perfettamente fruibile da parte dell' utenza in quanto riordinato, con orari di apertura al pubblico.

Recentemente è stato aperto uno sportello linguistico presso il Comune di Perrero a cura dell'Associazione Amici della Scuola Latina' di Pomaretto.


 

Il costume femminile valdese
costume valdeseIl costume valdese vero e proprio, quello cioè che le donne indossavano nelle occasioni importanti, non si discosta molto dall'abbigliamento di tutti i giorni, se non per alcuni particolari in stoffa più pregiata, quali ad esempio la cuffia o lo scialle.
La sua origine rimane nebulosa, possiamo solo affermare che ha subito una lenta evoluzione ed è stato notevolmente arricchito nel corso dei secoli, assumendo una caratterizzazione prettamente ecclesiastica e diventando l'abbigliamento domenicale per eccellenza per andare al culto. E' stato anche per molto tempo l'abito tradizionale delle spose.
Alcune fonti ritengono che in passato il costume valdese altro non sia stato che quello delle donne della vaI Germanasca; e quindi indossato indifferentemente dalle donne valdesi e cattoliche, con qualche variante di colore. Poi, in seguito al suo abbandono da parte della popolazione cattolica, sarebbe diventato patrimonio esclusivo di quella valdese.
Il costume ha così accompagnato le donne valdesi che lo indossavano con dignità e fierezza nelle solenni festività religiose: il 17 febbraio, nella vita culturale, durante le feste delle Corali e in occasione di battesimi, confermazioni e nozze.
Secondo la tradizione non è dunque un abito folkloristico, ma il vestito delle donne di confessione valdese: oggi appartiene al popolo valdese, ha un posto importante nella vita ecclesiastica e ne è pertanto un segno significativo.

Il costume comprende il vestito lungo fino alle caviglie, in tessuto di lana per l'inverno e di cotone per l'estate, di colore unito e generalmente scuro. Quello da sposa è invece in seta nera. L'abito è composto da un corsetto attillato e tutto abbottonato sul davanti, che termina con un colletto alto e bordato in seta bianca o valencienne, da una sottana unita al busto, ampia e plissettata sul retro e con grinze in vita. Le maniche sono lunghe, arricciate all'attaccatura, strette al polso e con un piccolo bordo bianco.

Il grembiule, lungo poco meno del vestito, è in seta cangiante, nera, viola o turchino, a seconda del colore dell'abito con cui deve accordarsi, i nastri per annodarlo in vita sono lunghi.

Lo scialle si indossa piegato in due a triangolo sopra il corsetto, e viene fissato sotto la nuca con una spilletta posta all'interno del vestito e un'altra sul petto. Può essere di lana o in seta cangiante, con fiori ricamati o con disegni vivaci, ed è ornato da lunghe frange. I colori tradizionali sono il rosso, il viola, il turchino e il nero. Poiché questi tipi di seta damascata o ricamata sono oggi introvabili, è generalmente utilizzata la seta bianca. Un tempo al posto dello scialle era indossata una pellerina nera di seta, più o meno decorata, da portarsi incrociata e legata in vita sul dorso.

La cuffia è l'elemento più prezioso ed importante del costume. E' composta da tre parti: una anteriore di pizzo ricamato, inamidata e increspata a cannoncini che incornicia il volto, una intermedia di tulle o stoffa sottile pure inamidata e una terza posteriore, di tulle ricamato, che racchiude la crocchia dei capelli. La cuffia è completata poi da un nastro di seta bianca che la circonda e la chiude con un nodo che cade lungo le spalle. A volte sopra la crocchia dei capelli viene posto un pettine rotondo su cui poggia la cuffia. Un tempo le ragazze prima della Confermazione portavano una cuffia nera (la barëtto) e le vedove indossavano una cuffia di tulle liscio con un nastro di crespo nero. Oggi tali consuetudini sono cadute in disuso.

Le calze sono lunghe, di lana o cotone, e generalmente scure. Devono essere intonate con l'insieme dell'abbigliamento.

Le scarpe sono molto semplici, a tacco basso e in pelle nera. Un tempo si usavano gli zoccoli chiodati e fabbricati in loco, dalla suola in legno e tomaia in robusto cuoio.

I guanti sono solitamente dei mezzi guanti, neri, lavorati ai ferri o all'uncinetto, di filo, lana o cotone.

La borsetta è dello stesso tessuto del vestito o nera e lavorata all'uncinetto, di forma rotonda e arricciata in alto con due nastri.

La spilla è l'unico ornamento della donna valdese, e viene utilizzata come fermaglio. Di solito si tratta di un cammeo, di un corallo, di un medaglione o della croce ugonotta, simbolo della fraternità protestante.

La Croce ugonotta è un ciondolo o una spilla che la tradizione vuole sia stata creata da orafo di Nîmas nel 1688. Sappiamo che si è diffusa inizialmente fra le popolazioni ugonotte presenti in Francia nel sec. XVI e poi, in parte modificata, si è estesa ad altre comunità-protestanti nella Svizzera romanda e nelle valli valdesi, diventato così il simbolo che unisce tutte le popolazioni di religione riformata.

Quella da noi conosciuta, insieme ad alcuni dettagli originali, riunisce insieme anche alcuni elementi già presenti in altre decorazioni molto conosciute durante il Medioevo quali la croce dei cavalieri di Malta a quattro bracci triangolari ed otto punte, simbolo della fede cristiana e nota in Provenza e Linguadoca sin dal XII sec., e una colomba rivolta verso il basso, presente in molte medaglie appartenenti agli ordini cavallereschi, che simboleggia lo Spirito Santo. Il tutto è poi impreziosito da una decorazione circolare che unisce i quattro bracci di lunghezza leggermente disuguale. Oggi le croci ugonotte sono riprodotte in vario modo: in oro, argento, legno, avorio e ceramica, e il loro utilizzo non è più esclusivo delle donne. Non sono un oggetto di devozione o un portafortuna, ma rappresentano unicamente un segno di riconoscenza e di appartenenza alla fede riformata.
 

 

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